Chi?

Monday, December 21, 2009

Ho detto decennio, hai sentito bene?



E’ un riflesso inarrestabile, tipo l’applauso all’atterraggio o la commozione per quando muore una celebrità ricca bastarda e senza le palpebre. Mancano due settimane alla fine dell’anno e la gente anziché bere tutto l’alcol che trova da qua al 31, no, preferisce gingillarsi di classifiche e inventari. I video dei bambini sbrodolini più scaricati su Studiaperto! Le disgrazie più catatrofiche del decennio per Unomattina! I calendari che han cartonato più mutande su Repubblica online! Che poi, anche uno cresciuto dai lupi nelle caverne siberiane lo sa che il decennio si riassume nell’Ipod, l’ebay, il facebook e tutto che col computer la gente non uscirà più di casa, lo tsunami, le cose ecologiche, il ritorno del cinema, il ritorno degli anni ottanta, il ritorno di Michael Jacskon a dove sarebbe sempre dovuto restare, le low-cost, yes-we-can, e dappertutto sushi e rumeni. Questo per l’inventario. Per le classifiche, fidarsi sempre del mio ottimo udito.





♫ Allora i Grandi Archivi li avevamo lasciati che fecero il botto con uno dei pezzi più trascinanti del decennio (bisogna digitare decennio ad ogni paragrafo senno’ google vi oscura), poi sono andati in letargo ed hanno inciso un album nel sonno. Gli è venuto pure piuttosto bene, anche se L’Argento inizia ricordando un famoso pezzo di Nilsson.
♫ Coi Bombadil siamo in pericoloso territorio indie-fuffa, con tromboni mandolini e glockenspiel, l’ultimo metro di banchisa vicino agli Arcade Fire prima di sprofondare nel liquame ghiacciato degli Animal Collective.
Piero Lapunta è un mistero canadese, tipo Alain Bashung che resuscita a X-factor.
♫ Agli Harlem Shakes non puoi resistere, devi spalancare la porta e cominciare a correre e cantare sanlait! sanlait! e rubare il cappello ai passanti e ridere e peccato che è già finita. Repeat.
♫ Anch’io voglio fare un disco per sembrare figo come Jason Edwards in copertina.
♫ Sarà che da giovinetto sono stato esposto agli arrangiamenti magniloquenti di Steve Lillywhite, e che in un grande paese i sogni restano con te, ecco io sono piuttosto sensibile al fascino degli inni, e ringrazio il Grande Rosa per avercene regalato uno a chiusura del decennio (ma guarda te come resto bene in tema).
♫ Attenzione, Kettering è un concentrato che va dritto al cuore, dischiude i pori, si irradia tutt’intorno. Da ascoltare con cautela, potrebbe farvi innamorare anche della bidella Silvana.


Sunday, December 06, 2009

Rapidshare spiegato ai semplici







This year so far - II



Amici che da quando hanno chiuso il Festivalbar ascoltate solo la suoneria della rana pazza, niente panico, c’è chi si diverte per voi e vi aggiorna su cosa succede nelle orecchie delle persone civili.

♫ Noi ai Flunk gli si è ancora grati da anni per la magnificente cover di Blue Monday, che per me potevano anche chiuder lí e godersi una meritata pensione a fare il bagno nei fiordi. Invece riemergono con regolarità, e stavolta Anja sfringuella con tale brio voluttuoso che non si capisce se ha appena scoperto la nutella degli dei o se ha un nuovo moroso o le due cose insieme ed assunte contemporaneamente. Che se io fossi il suo moroso a sentirla cantare cosí mi sentirei piuttosto fiero.
Soffrendo, ovvero incrociando Grease all’underground newyorkese featuring padre Devendra dopo aver visto troppi porno.
♫ Canzone dell’anno! Le Ragazze! Venite a saltare sul mio materasso! Ora!
♫ I Raveonettes fanno colare pop da inebriarsene e sbracciare per la gioia, tra i Primitives dell’88 e il paradiso delle big babol. Album dell’anno.
♫ Il Reverendo combina Charlatans e Kula Shaker, fuori tempo massimo. E che importa, già che mi regala lo stesso fremito di quando esploravo il britpop nei miei quindicianni.
Annie, stai buona. Lo sai che ti amo. I polsi stringono? Ma te li ho già allentati. Ancora un po’ d’acqua? Ti piace questa maglietta? Non sento, mugola più forte. Vuoi che ti tolga lo scotch. Canta per me Annie, ancora. Ancora.
Alphabeat: sí avete sentito bene, sono gli stessi di 10.000 nights of thunder, il pezzo pop del decennio. Solo che han passato troppo tempo nelle saune con la filodiffusione ed ora si credono Kate Ryan o Holly Valance, a seconda del sesso.
♫ I Pettegolezzo si sentono pure in metropolitana. Oh che grossa oh che trasgressiva oh che brava, è il sillogismo che porterà il loro disco sotto l’albero al posto del concerto di Natale di Céline Dion. Finché non apriranno la cerniera sulla schiena di Beth Ditto e ne usciranno le Tatù.
Un Posto per Seppellire Estranei: c’era la cospirazione di tutti i Pitchfork del web ad annunciare quanto so’ffichi gli XX che poi quando l’album è uscito non era altro che un’onesta riedizione degli Young Marble Giants. Se fake new wave dev’essere, allora mi porto dietro questi fanatici di Andrew Aldritch che almeno andiamo a ballare e li guardo spaccarsi i bicchieri in testa.


Diciotto piccole bionde


(vocette stridule dei Chipmunks) Ehi anche tu appena arrivata? – Ma fa caldo qui – Che è tutta 'sta gommapiuma, pare il privé del Pacha – Ragazze non spingete che già stiamo in quindici – Guarda che prima là fuori io stavo ballando – Tiratela meno che invece con me ci stavano provando – E com’è finita? – Che ne so, ora ce n’è un’altra a far la sgualdrina là sopra – (scroscio dall’alto) – Ah eccola che arriva – Splash! – Ciao ragazze che bello ritrovarvi ma sapete che ridere là fuori, ne ho vista una sul pavimento – Te ridi poco che tra poco ci ributta fuor– Splash! – Ciao ragazze uh ma che stretto qua (Belguglielmo ingolla l’ultima birra e barcolla verso casa).


Thursday, December 03, 2009

Got Shanghaied

1.
Titoli di testa, Mama told me not to come, scene in sequenza: Belguglielmo sale in treno, Belgugliemo sulle scale mobili (che poi è un classico dei titoli di testa), in coda al metal detector (suona) (sempre) (anche se nudo), piazza il bagaglio nella cappelliera, sbava placido sulla spalla del vicino. Camera fissa su Belguglielmo che fuma agli arrivi dell’aeroporto di Shanghai con sguardo all’orizzonte a rivelare pensieri di tragica profondità, per esempio “mutande di lana”. Fade-out della canzone mentre Belguglielmo si rade e MTV China passa Tom Jones, ma siccome si rade solo di sabato qui parte il flashback.

2.
La Cina, che fascino che mistero. Ah no, quella era l’India. Allora non sto a spiegare a voi graffettatori dei calendari del catasto per quale motivo l’ufficio mi sponsorizzi una trasferta dall’altra parte del mondo con il solo compito di non addormentarmi durante le presentazioni. Sappiate solo che, alla faccia dei cuccioli di foca che muoiono di colera, Belguglielmo si è parcheggiato in un hotel a dodici stelle con tappeto di muschio profumato, laghetto di ninfee in camera e sveglia con arpista vestita solo di edera. Mi sarei portato via anche la carta da parati se non avessi avuto un’esplosione al posto dello zaino. In realtà la camera è fornita di tutto ciò che serve a non gettare lo sguardo fuori dalla finestra e scoprire che se vuoi vedere il sole devi accendere la televisione. Sappiate, o amici della terra e nemici giurati dell’aria condizionata, che basta una boccata d’aria di Shanghai per mandare in malora tre generazioni della vostra raccolta differenziata. Dopo aver visto i Cinesi tirar su grattacieli di eternit andrò a letto con i rubinetti aperti senza alcun senso di colpa.
I cinesi ci mostrano torri, ultratorri, megaplastici borgesiani, musei in 3D, città svedesi, isole artificiali. Per mia fortuna c’è la Concessione Francese, con le casette coloniali, i giardini pettinati con la lacca e una popolazione transglobale che mescola giovani espatriati alla nuova classe media locale. Lí i giovani cinesi sono talmente glamour che andrebbero fatti sfilare con i loro giubbottini Vans sulla tomba di Renato Curcio (che sia vivo è un trascurabile dettaglio). Sprazzi di Parigi nella boutique di abiti da sposa con sottofondo di Edith Piaf, bancarelle di CD taroccati spargono Cesaria Evora lungo la strada, coppie di anziani si scatenano nel parco attorno ad un grammofono che gracchia swing di New Orleans.

3.
Shanghai sono io che cammino, Lloyd Cole mi ronza nella testa, come ogni volta che mi sento vulnerabile. Io perso con naso all’insú verso tetti e cupole che fendono l’aria sabbiosa, io che saltello tra un edificio vittoriano e una pagoda riverniciata, entro e esco dai negozietti di streetwear, le luci delle torri e gli odori del mercatino, lolex – no lolex thank you, più mi muovo più vibro. Tutto mi sollecita, il tempo non basta ad elaborare le immagini, a ricomporre gli scatti e i momenti condivisi con i compagni di missione, qualcuno più prossimo o talvolta sfuggente, probabilmente Shanghai non ha straniato solo me. Esplorate le stradine laterali ricolme di biciclette e panni stesi, mi travolge il fiume umano della rutilante Huaihai road. Campo lunghissimo, panoramica verticale su Belguglielmo perso nel flusso. Poi mi assesto, recupero il ritmo e finalmente incedo, io sono bellissimo, non ho nulla da temere, la gioia mi esplode nel petto e trabocca generosa, ne avro’ scorte per il ritorno, per raccontarla agli amici, per respirare più forte, per fare meglio l’amore.

4.
Ma dimmi la cerimonia del thé, i templi confuciani, le gare di aquiloni? Può darsi, io però in Cina ho fatto shopping e discoteche.

* Intervallo zen *
Il pescatore promette al guardiano della roccia un banchetto sontuoso e giorno dopo giorno prepara le pietanze con devozione. Giunta l’ora stabilita, il guardiano annuncia “a me il pesce non garba e me ne vado al fast-food”. Piovono rane dal cielo. Era buono il gulash?
(gong)

Sono seduto alla vetrina di un ristorante a caso di Donghu road. Novemila kilometri da casa. Diciotto milioni di abitanti. Non so se mi spiego. Perché io ancora non me lo spiego. Mentre addento una coscia di rana, fuori dalla vetrina l’amica Rollover mi guarda come si guarda un elefante rosa. Esultiamo, corriamo, ci abbracciamo, ci chiediamo come sia possibile, conveniamo che tutto ciò non è possibile. L’amica Rollover è in visita dall’amico Bleach, che Shanghai la padroneggia da ormai cinque anni e ce ne svela gli anfratti notturni. Il People Seven, ristorante Manhattiano dove si entra componendo un codice, ci si aggira nel buio, si spingono finte porte, si beve in bicchieri senza piede. Il Not Me, dove la Cina undeground si esercita goffamente alla coolitudine ballando sui Gossip, Rapture, Cansei de Ser Sexy. Infine il M1nt, la roccaforte dei fashion expats, al trentesimo piano di un grattacielo con vista sul Bund, acquario di squali, tante camicie griffate quanti neolaureati di Harvard. Mentre le glamourussians sorseggiano cocktails fosforescenti, la Rollover ed io consumiamo la pista, il nostro modo di marcare uno scampolo di territorio dall’altra parte del globo. Acquistata fiducia, e almeno una dozzina di tsingtao, vengo preso come al solito dall’irrefrenabile esigenza di molestare il dj per elemosinare un Blue Monday. A dispetto di ogni previsione, e tempo due minuti due, Blue Monday tracima dalle casse, seguito da Enjoy the silence. Shanghai è nelle mie mani.

5.
My own private Chinese soundtrack. (link alternativo)