Chi?

Thursday, October 13, 2011

Il fischio è un elisir

- Allora dottore, mi spoglio?
- Credevo le facesse male l’orecchio.
- Esattamente. La prego mi aiuti, da ieri sera mi scoppia la testa.
- Lo immagino, il suo alito pare una distilleria. Apra bene e dica “aah”.
- Aaah. Aaah. Ah! Ah! Ah! Ah! Aaaaaa-
- Basta cosí. È stato molto espressivo.
- Posso rifarlo con la voce di Donna Summer?
- Mi dica piuttosto che le è successo.
- Ho avuto un rapporto intimo con un altoparlante.
- Più di uno direi. Ora proviamo il timpanometro e lei mi dice cosa sente.
- Sento una batteria di conga con sottofondo di schiavi nubiani vestiti solo di una foglia di banano.
- Non l’ho ancora acceso. Adesso?
- Come prima, ma remixato da Brodinski
- E adesso?
- Lo stesso, solo che ora ansimano e si rotolano nel fango.
- E adesso?
- Dottore, conosco il divvudì. Se manda un po’ avanti c’è una scena di gruppo che-
- Temo che lei abbia bisogno di una cura massiccia. Prenda cinquecento pillole ad ogni pasto.
- Non sono troppe?
- Sì ma è per tenerla occupato.
- [...]

- Signor Belguglielmo? Cosa sta facendo col mio stetoscopio?


Nella foto in alto, l'otorinolaringoiatra porge il timpanometro al Belguglielmo.

Monday, October 10, 2011

It felt like the world would freeze

È difficile spiegare Strasburgo a chi non ci è mai stato. Un sussiego nordico ammorbidito dagli interni caldi e carichi di legno delle brasserie alsaziane. Pioggia fina e rari passanti questa sera per le stradine pittoresche della Petite France, e quella cattedrale che pare piombata dal cielo, come il monolite di Kubrik, ad incastrarsi maestosamente nel selciato. Seguendo l'argine Kleber ripenso a quando Strasburgo era un rituale mensile, tollerabile dazio da pagare all'ascesa professionale che si incideva con inchiostro lucido sul mio curriculum e sulle mie scarpe di cuoio. Non ci tornavo da quasi un decennio, da quando il mio nome era affisso sulla porta di due uffici nei corridoi europei, i primi stipendi piovevano euforici e l'avvenire mi sfarfallava nel petto. Allora ignoravo che la vita si attorciglia agli imprevisti. Cammini con slancio, t'inginocchi un attimo a sciogliere le stringhe ed appena ti rialzi ti ritrovi adulto senza il preavviso necessario, circondato da toponimi germanici, a constatare la disfatta privata del pensiero razionalista.

Perché no che non sono superstizioso io, ma ho vacillato, qualche giorno fa, quando tra i biglietti da visita che riordinavo al ritorno dall'India è comparsa la fototessera in bianco e nero di un'anziana cadaverica. E cazzo se era spettrale, pareva il volto di tutte le tragedie. Così venerdì, anziché bruciare la foto come avrei dovuto con un cero benedetto recitando preghiere latine, l'ho gettata nel sacco degli indifferenziati, che io mi voglio civile e ragionevole. Neanche un'ora dopo si verifica lo spiacevole incoveniente dell'essemmesse partito per errore a compromettere la mia carriera. Due ore dopo sono ad agitare le mie Converse a pois sotto una cassa del Botanique che mi spacca il timpano sinistro.

Nei corridoi dell'ospedale, con un dito nell'orecchio, cerco di pensare a cosa mi abbia distratto nel momento in cui la vita lasciava il cammino delle cene in completo nei ristoranti alsaziani che accettano l'American Express, e prendeva invece il sentiero sconnesso delle brasserie belghe, delle colocazioni, delle bici di seconda mano e delle candidature senza risposta.

Dieci anni dopo li rivedi ancora i ristoranti alsaziani, i palazzi di vetro ed i tassisti tedeschi. Mi accendo una Marlboro indiana davanti alle vetrine dell'argine Finkmatt, dove ammiro una scacchiera in pietra che regalerei a mio padre se non avesse uno zero di troppo.

Accelero il passo, la sigaretta è umida, l'orecchio continua a fischiare.